Va chiarito che avere livelli di forza massimale (cioè forza!) non genera automaticamente livelli di “potenza” elevati, e tantomeno endurance maggiore.

L’equazione “forza = potenza” porta al falso presupposto secondo cui la forza assoluta in un ciclista di endurance sia determinante per erogare potenza (w) durante una gara di ciclismo (sport aerobico!), e che un training di derivazione pesistica possa perciò aumentare indirettamente i wattaggi in ambito anaerobico od aerobico (FTP); non è così, non esiste studio che dimostri un transfert del genere tra i due ambiti, e specialità della pista come lo sprint e il Km da fermo sono un mondo a parte, come si può notare anche dal fisico di coloro che primeggiano in tali ambiti.

Esistono anche ricerche che mettono in dubbio la coesistenza di un allenamento in palestra con lo sport di endurance; è ragionevole supporre (Med Sci Sports Exercise 38 no11 N 2006) che l’attivazione di AMPK e inibizione della eEF2 nell’esercizio di resistenza e/o in sessioni di allenamento troppo frequenti (!) possa interferire con le stesse risposte indotte dal training, ossia sulla sintesi proteica, dato che l’attivazione/inibizione di queste proteine-segnale (indipendentemente o collettivamente) può alterare l’induzione della risposta anabolica, con tutte le conseguenze del caso. Numerose ricerche sono state svolte in tal senso; la tendenza comune è che ci sia interferenza nello sviluppo della forza utilizzando regimi di allenamento combinati, rispetto alla l’allenamento della forza in modalità singola. Ulteriori ricerche sono comunque necessarie prima di esporsi in maniera univoca e definitiva sull’argomento; se da una parte è stato documentato che i miglioramenti nella forza possano essere compromessi dalla combinazione forza+ allenamento specifico (Hickson, 1980. Kraemer et al, 1995), la letteratura disponibile suggerisce dall’altro lato che i miglioramenti nell’endurance siano compromessi da un training diverso da quello specifico per la propria disciplina (Dolezal & Potteiger, 1998; Gravelle & Blessing, 2000; Kraemer et al, 1995;. Nelson et al, 1990).

Sia la potenza (w) che la forza (kg) sono fortemente influenzate dalle modalità con cui i muscoli delle gambe vengono attivati dal sistema nervoso (con adattamenti neuromuscolari altamente specifici e relativi alla modalità di esercizio), ma la funzione potenza è determinata anche da come la forza possa rapidamente diminuire con l’aumentare della velocità di accorciamento delle fibre (miosina, ATP), oltre che dalla correlazione tra forza espressa e velocità di esecuzione del movimento.

In realtà, come dimostrano diversi studi scientifici, la forza massima e la potenza espressa non sono necessariamente correlate fra loro (vedasi ad esempio J Sports Med Phys Fitness, 1998 Sep; 38(3) 201-7); il training volto ad aumentare la forza non aumenta la potenza ciclistica necessaria per una gara in bicicletta, se non nella misura in cui va a sviluppare un effetto ipertrofico sui muscoli, e benchè la potenza includa oltre alla velocità la forza sprigionata, essa non limita il ciclista, che esprime un numero di Newton sui pedali mediamente basso durante qualsiasi gara.

Effettuare sessioni di allenamento con i pesi per aumentare la forza, e quindi trasformarla in potenza (!?!), coinvolgendo gruppi muscolari specificamente impegnati durante la pedalata, dovrebbe teoricamente (si badi bene) generare una risposta ipertrofica e un successivo adattamento neuronale dalle macchine al movimento pedalato. Si cerca in tal modo un aumento indiretto della potenza, in virtù di un aumento della forza reclutata in sala pesi. In realtà però questo meccanismo non è fisiologicamente dimostrabile: vi sono molti studi condotti sul “trasferimento” di livelli di forza allenati in modo specifico con altre discipline (Luecke, et al., 1998, Harris et al., 2000, Fagan e Doyle-Baker, 2000, Rich e Cafarelli, 2000), e tali ricerche hanno escluso la possibilità di un guadagno nella “forza” attraverso un esercizio differente rispetto alla propria disciplina, anche quando simile negli esercizi svolti all’attività alternativa usata.

Non esiste alcuna ricerca che in letteratura scientifica provi il c.d. transfert dai pesi alla strada: la forza è la massima capacità di generare contrazioni muscolari, che si verificano a velocità zero (escludendo contrazioni in allungamento), e per un muscolo singolo la potenza massima si genera a circa un terzo della velocità di accorciamento massimale, e lo stesso avviene quando si pedala in bici.
Insomma, l’allenamento della forza produce cambiamenti all’interno del muscolo, ed essendo quest’ultimo sottoposto ad uno stimolo ipertrofico ci sarà una relativa diminuzione del volume dei mitocondri (ossia, gli organelli microcellulari produttori di energia) all’interno del muscoli (ove l’allenamento aerobico tende a provocare appunto l’effetto opposto: Hickson, 1980; Holloszy & Coyle, 1984; Sale et al., 1990a).

Dunque (Coggan) la forza non è limitante, poiché la velocità di accorciamento è di gran lunga maggiore di zero, ed inoltre un ciclista pro world-class non dispone di capacità assolute nella generazione della forza, quanto di wattaggi sub-massimali ripetibili a lungo con un costo energetico favorevole; sprintare dopo 290 km non equivale a farlo da “freschi”, così come tutti dispongono della forza (medio-bassa, in kg sul pedale) necessaria a sviluppare 430w, ma solo una manciata di esseri umani riesce a prolungare lo sforzo per 53′ di Mont Ventoux durante un Tour.

Con il lavoro in palestra il ciclista allenato può soltanto effettuare un buon lavoro di core-stability e migliorare appunto la stabilità ed il controllo in fase di accelerazione sui pedali, in modo che i wattaggi generati dagli arti inferiori siano incanalati nella direzione corretta, oppure svolgere un lavoro generale di condizionamento invernale. Il successo di un atleta nello sprint individuale (in velodromo come nei 100m su pista) deriverà comunque da una genetica favorevole, grazie a cui si sarà ereditata un’alta percentuale di fibre a contrazione veloce (bianche), base per la prestazione di velocità pura.

Non importa quanto tempo si sollevino i pesi: se la forza è una funzione delle contrazioni a livello neuronale, sarà sempre necessario effettuare serie di massimali per indurre uno stato ipertrofico, mentre invece le determinanti fisiologiche di uno sport di endurance saranno relative alla potenza lipidica, al VO2max, alla FTP, all’efficienza del movimento, al supporto nutrizionale di complemento. Dato che le forze necessarie per pedalare alla propria FTP (potenza di soglia funzionale) o a livelli VO2max sono ben al di sotto di quelle necessarie a generare contrazioni massimali, la forza non può essere considerata un limite per il ciclista (che dispone dei kg necessari per fare wattaggi da pro), quando invece il limite è la capacità di generare wattaggi sub-massimali per periodi medio-lunghi capitalizzando l’apporto di O2. Per quest’ultimo scopo esistono esercizi più efficaci nel migliorare le capacità mitocondriali di un soggetto allenato (la vera determinante!), migliorabili agendo specificamente sulla propria bicicletta con l’ausilio di un powermeter e di un coach scientificamente preparato.

La ricerca ha messo in evidenza le nette differenze in termini muscolari ed energetici tra sollevatori e ciclisti; due tipologie di atleti il cui sviluppo (training) delle capacità muscolari e di endurance è determinante per comprendere il divario tra le rispettive attitudini neuromuscolari, fisiologiche e prestative. Gli elevati valori di potenza (watt) generabili attraverso i substrati aerobici, nel ciclismo su strada élite, sono dovuti al significativo reclutamento delle fibre veloci durante l’allenamento e la competizione ciclistica; alle intensità sub-massimali utilizzate dai ciclisti professionisti durante l’allenamento e la competizione (60-70% del massimo consumo di ossigeno,. Lucia et al, 2001), un reclutamento di fibre a contrazione più rapida si verifica allorchè le fibre lente esauriscono le riserve di glicogeno (Gollnick et al., 1973b). Inoltre, durante le competizioni in bici, le variazioni di ritmo con range attorno agli 800-1000 W, richiedendo l’impegno di fibre a contrazione rapida (Goll-nick et al., 1973b), intervallate però da periodi ad intensità sub-massimali.

I risultati suggeriscono che, nel ciclismo l’allenamento di endurance (z2-z3-z4) possa anche interferire con lo sviluppo della forza muscolare, a causa dell’impatto a lungo termine nel deteriorare dello status ormonale anabolico. Ciò non deve stupire, visto che i livelli basali di testosterone e cortisolo nei ciclisti professionisti vengono erosi dall’allenamento a lungo termine (Hackney et al, 1988; Lucia et al, 2001), mentre di converso l’allenamento della forza a lungo termine può indurre un aumento significativo del testosterone basale, dopo 2 anni di sollevamento pesi (Hakkinen et al., 1988) e una diminuzione della concentrazione di cortisolo.

Gli adattamenti indotti invece da un corretto programma ciclistico, orientato al miglioramento nella sostenibilità delle coppie torcenti e della massa mitocondriale, più che allo sviluppo della forza massimale o del trofismo muscolare, sono per noi mirati ad apportare benefici nella potenza aerobica massima e nella capacità ossidativa (Gollnick et al., 1973a), una buona % di fibre muscolari tipo I e/o loro conversione (Coyle et al., 1991), una maggiore densità capillare, attività enzimatiche specifiche della citrato sintasi e succinato deidrogenasi (Gollnick et al, 1973a; Burke et al, 1977) all’interno della muscolatura delle gambe, sempre rispetto alle persone sedentarie o ai sollevatori di pesi. Tutti questi adattamenti specifici si traducono anche in un miglior utilizzo del glicogeno muscolare e nella produzione/smaltimento più efficace del lattato durante l’esercizio competitivo in bicicletta.

FONTE: La forza nel ciclismo, tra bici e palestra (parte I) via scienceofcycling.it

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